Termini Imerese: I cacucciuliddi bugghiuti – di Nando Cimino
Durante la bella stagione Angelo girava tutti i giorni per le strade ed i quartieri della città con la sua vecchia lambretta vendendo “cacucciuliddi vugghiuti”
Tra i tanti personaggi che hanno attraversato la storia popolare della nostra Termini c’è Angelo; per qualcuno Ancilinu e per altri Ancilù, che fin oltre gli anni settanta del novecento, e per una sua particolare caratteristica, ne fu uno dei simboli.
Angelo non era sposato ed abitava insieme alla sorella Anna, anch’essa nubile, in una traversina di Piazza San Carlo proprio a pochi passi dalla chiesa. Durante la bella stagione girava tutti i giorni per le strade ed i quartieri della città con la sua vecchia lambretta vendendo “cacucciuliddi vugghiuti”; e li portava ancora calde dentro un pentolone di alluminio che teneva ben legato al portapacchi posteriore. “Vi purtaiu i cacucciuliddi bugghiuti, ancora cauri su”. Il fatto che lui dicesse bugghiuti e non vugghiuti, come si pronuncia a Termini, mi fa pensare che le sue origini non fossero proprio termitane. Ma, ad ogni buon conto, egli cosi abbanniava girando i vicoli; e la gente si affacciava per comprarli.
Per molti anni, oltre alla lambretta bianca con i riporti rossi che si dice avesse preso da Nino Rinella storico concessionario della nostra città, lo vidi usare pure una caratteristica Fiat 600 Multipla; come quella che si vede in foto nel modellino realizzato dall’artista termitano Calogero Sperandeo che, nel crearla, si è ispirato proprio a questo personaggio. E giusto a questa macchina è legato un singolare episodio degno di un film comico. Sappiate che Ancilù era tipo un po scontroso; e spesso litigava con i ragazzini del quartiere cacciandoli perché, a suo dire, giocando vicino alla sua casa facevano troppa baldoria. E fu così che un giorno i ragazzi decisero di vendicarsi; e lo fecero in una maniera davvero singolare. Angelo parcheggiava quella sua 600 multipla vicino alla chiesa proprio accanto ad un palo della segnaletica stradale; e fu a quel palo e con una robusta funicella trovata chissà dove, che un giorno i giovani, nascostamente, gli legarono il paraurti di quella macchina. Il poveretto non si accorse di nulla; e così, come abitualmente faceva, dopo aver caricato il suo pentolone di cacucciuliddi bugghiuti, provò a partire.
Dopo la prima e dopo la seconda falsa partenza, e con le ruote che freneticamente giravano a vuoto sul selciato, la macchina spinta da un’altra forte accelerazione, balzò in avanti con lo scatto di un cavallo imbizzarrito, sradicando il palo forse già instabile. Non vi dico ciò che successe in quella piazza per il gran fracasso e le risate di quanti erano presenti ed avevano assistito alla scena. Angelo non la prese certo bene ed immaginò chi potessero esser stati gli autori della bravata; ma dopo qualche parolaccia, sistemato tutto ripartì con i suoi cacucciuliddi per il solito giro.
Occorre a questo punto precisare pure che i cacucciuliddi che Angelo vendeva per le strade non erano i comuni carciofini che tutti conosciamo e che in tanti ancora oggi conservano sottolio nei barattoli; ma si trattava di quelli selvatici, che qualcuno chiamava domestici, e che crescevano spontanei nei campi dove lui stesso li andava a raccogliere. Li bolliva nel vicolo su un grande fornello ed andavano a ruba, perché erano molto apprezzati per il loro sapore amarognolo. Angelo era comunque un gran lavoratore e spesso, a secondo delle stagioni, oltre ai cacucciuliddi vendeva pure sparici e babbaluci.
Tante donne, dopo averle comprate e magari sistemate dentro un colapasta od un pentolino, consumavano i cacuciuliddi pure in strada, mentre sedute davanti casa si intrattenevano con le vicine a conversare. Bisognava toccarle con cura e stare attenti alle spine molto acuminate; e per questo, dopo essersi punto, spesso c’era chi si lasciava andare a qualche imprecazione. Sono queste fotografie di un passato ormai lontano che ci ricordano aspetti di vita popolare che la nostra città ha ormai dimenticato, ma che spesso ritornano alla memoria; almeno in quella di quanti ne hanno vissuto i tempi.