Termini Imerese: Una città dal commercio florido – di Nando Cimino
Nel 1899, seppur con un numero di abitanti minore (circa 20.000), possiamo dire che in proporzione le attività commerciali erano tantissime
Nonostante il territorio urbano fosse più piccolo rispetto a quello odierno ed anche il numero degli abitanti minore (circa 20.000), possiamo dire che in proporzione le attività commerciali erano tantissime e facevano da traino alla economia di una città che alla fine dell’ottocento veniva ancora considerata come tra le più importanti della Sicilia. In particolare Giuseppe Catanzaro e figli, che ne erano gli agenti, nel 1899 per l’annuario del Regno d’Italia ne avevano annotato oltre trecento.
Tra queste c’erano venditori e produttori di zolfo, sommacco, sapone; e poi sarti, cordai, macellai e pure ramai. Tra le tante, e per pura curiosità, voglio riportare la fabbrica di acque gassose di Bastiani Maria, poi gli agenti marittimi Catanzaro Vincenzo e Mormino Pasquale, i costruttori di barche Pietro Cavasino e poi Filippo, Michele e Pietro Catalano. C’erano anche ben dodici botteghe artigianali dove si costruivano botti, ed oltre quaranta esercizi dove si vendevano e riparavano scarpe. Tra questi vi riporto i nomi di Antonio Vazzana, Demma Ignazio, Mario Battaglia, Antonio Anselmo, Giuseppe Bova etc…
C’era pure chi fabbricava candele di cera come Lo Presti Carlo e Figlio e Luigi e Francesco Aguglia. C’erano anche due fotografi, uno si chiamava La Cavera e l’altro Ciresi; e pure due rilegatori di libri, ovvero Angelo Impallaria ed Agostino La Mantia. Felice Avella e Vincenzo Gervasi erano invece marmisti; mentre Francesco Longo, Palmisano Giuseppe ed i fratelli Bova, erano fra quelli che producevano e vendevano pesce salato.
C’erano poi ben dieci orefici; e questo ci lascia immaginare che ci fosse parecchia richiesta di tali oggetti. I negozi d’oro erano quelle di Giuseppe Battaglia, Antonino Formusa, Pietro e Santi Formusa, Agostino Gattuso e Girolamo Gattuso, Pietro La Barbera, Francesco Palumbo, Stefano Palumbo, Domenico Salvo ed Agostino D’Asaro. I forni erano ben diciotto, e quindici i sarti; e non mancavano nemmeno i venditori esportatori di sommacco che erano tredici. C’erano anche sei venditori di tartaro e tredici di tessuti tra i quali si trovano i nomi di Beniamino Aguglia, Onofrio La Manna, e le sorelle Carmela e Marianna Torregrossa.
Chi voleva imparare a suonare, nella nostra città poteva contare anche sulla presenza di tre maestri di musica ovvero Giuseppe Geraci, Agostino Zappulla e Nunzio Li Causi. Quest’ultimo, e per molti anni, fu anche il direttore della banda musicale della città; banda che allora era finanziata dal comune di cui il Li Causi era un dipendente. Evidentemente non mancava il lavoro nemmeno per i notai, ed infatti tra quelli riportati nell’annuario ne troviamo ben nove; molti di più di quanti sono oggi. Erano Giuseppe Cancilla, Liborio Castro, Gargotta Antonino, Geraci Benedetto, Ignazio Indovina, Giovanni Mistretta, Carmelo Rao, Agostino Salvo e Michele Battaglia. Lo stesso annuario riporta anche quindici medici chirurghi, e tra questi Salvatore Cimino, Mariano Menzalora, Giuseppe Mormino e Giuseppe Fucà.