Termini Imerese: Vicolo Cancello, una triste storia di sofferenze – di Nando Cimino
Si potrebbe pensare che li, in passato, vi potesse essere un qualche cancello che ne chiudeva il passaggio e da cui poi il nome. In realtà non è così
Tra il dedalo di viuzze che si snodano suggestive nelle vicinanze della nostra chiesa Madre, c’è né una che si chiama vicolo Cancello. Ecco; a prima battuta si potrebbe pensare che li, in passato, vi potesse essere un qualche cancello che ne chiudeva il passaggio e da cui poi il nome. In realtà non è così; infatti lo storico Enzo Giunta sostiene, e credo giustamente, che l’originario nome della strada dovesse essere non Cancello bensì Cancelle.
E questo ne cambia totalmente il senso e la storia. Infatti la parola “cancelle”, tipica della parlata napoletana, e il cui significato è quello di “prigione”, ci riporta al periodo borbonico che, anche a Termini, e grazie soprattutto alla presenza del castello, molto incise sulla vita della città.
E sicuramente questo nome doveva riferirsi proprio a quel tempo; infatti, per come si vede dal documento in foto e che risale al 1878, già allora la via aveva preso il nome di “Vico del Cancello”. Ma perché allora, e proprio in quella zona, il riferimento alle prigioni?
Ebbene, cosa che magari non tutti sanno, durante il periodo borbonico, proprio nel piano terra del palazzo comunale, dove oggi sono gli uffici del protocollo, c’era una prigione che, in spazi angusti e indecorosi, ospitava sia uomini che donne. E si presume quindi che proprio da quella viuzza si trovassero spesso a passare tanti poveracci che, incatenati, si avviavano mestamente ad essere richiusi in quel luogo di sofferenza.
E proprio con il titolo “E Cancelle”, tanti anni fa il cantante napoletano Sergio Bruni, scrisse una triste canzone in cui viene descritta la infelice vita di un carcerato. Ancora oggi il nostro vicolo Cancello, stretto, impervio e semibuio, ben ci lascia immaginare quei tempi e quelle storie che hanno segnato un pezzo di vita popolare della città.